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lunedì 18 gennaio 2016

Petrolio



Quali paesi corrono i maggiori rischi di collassare a causa del persistere di quotazioni del greggio molto basse? Il prezzo del petrolio di cui hanno bisogno i grandi produttori per mantenere in equilibrio i propri conti si posiziona su livelli lontani da quelli registrati negli ultimi giorni. Mentre le quotazioni si portano al di sotto di quota 30 dollari al barile e i ‘petrodollari’ si svalutano, una delle domande fondamentali è: fino a che punto i paesi produttori possono reggere l’urto? 

Quali paesi corrono i maggiori rischi di collassare a causa del persistere di quotazioni del greggio molto basse? 

A seconda del soggetto a cui venga rivolta la domanda, il prezzo del petrolio di cui hanno bisogno i grandi produttori per mantenere in equilibrio i propri conti si posiziona su livelli lontani da quelli registrati negli ultimi giorni. Mentre le quotazioni si portano al di sotto di quota 30 Usd e i ‘petrodollari’ si svalutano, una delle domande fondamentali è: fino a che punto i paesi produttori possono reggere l’urto senza collassare? 

Non è un’operazione facile calcolare i rischi economici e politici per i grandi esportatori. Russia, Arabia Saudita, Iran e Venezuela hanno bisogno di prezzi minimi diversi per riuscire ad evitare tagli allo stato sociale e agli investimenti. In tutti i casi, i livelli minimi richiesti sono attualmente solo un lontano ricordo del passato. Il barile di Brent, il greggio di riferimento, perde circa il 18% dall’inizio dell’anno. Il West Texas Intermediate, il greggio di riferimento per il mercato statunitense, minaccia di portarsi sotto quota 30 Usd. Le varietà estratte in Medio Oriente e Russia già presentano prezzi sotto i 30 Usd al barile. 

Se le quotazioni dovessero permanere su questi livelli, si assisterà ad un aumento dei timori relativi alla solvibilità dei singoli paesi. Il tema interessa direttamente gli investitori in titoli di stato e divise. Le agenzie di rating rappresentano un buon punto di partenza per cominciare a valutare la solidità finanziaria dei paesi coinvolti. 

Le monarchie del Golfo Persico come l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti possono contare sul livello di affidabilità creditizia AA emesso da Fitch, Si tratta di realtà economiche che possono fare affidamento su riserve cospicue o accedere ai mercati obbligazionari internazionali per raccogliere capitali. Molto diversa è la situazione in cui versano la Russia –che ha un rating BBB-, il Venezuela –con un’affidabilità CCC ridotta al lumicino- e l’Iran –soggetto alle sanzioni internazionali. 

Lo scenario politico non vale meno di quello economico-finanziario. La crescita economica dell’Iran sta migliorando in scia alla riduzione graduale delle sanzioni. Teheran appare politicamente stabile. 

In Russia, il consenso a favore di Vladimir Putin resta elevato, introno al 90% nonostante l’inflazione galoppante e i tagli al welfare state. Questa situazione contrasta con quanto accaduto in passato a Boris Yeltsin, che durante un periodo di crollo delle quotazioni petrolifere vide svanire tutto il suo appeal nei confronti del popolo russo. E neanche il continuo indebolimento del rublo rispetto al dollaro Usa ha scalfito minimamente la leadership di Putin. 

In Venezuela, il presidente Nicolas Maduro era alle prese con il caos politico e il malessere dell’opposizione e di una parte crescente della popolazione già prima che il greggio innescasse la retromarcia. 

L’Arabia Saudita è alle prese con un deficit galoppante che potrebbe, per la prima volta nella sua storia, far propendere il Governo per l’emissione di bond sui mercati internazionali. Le autorità saudite hanno anche rivelato che c’è un piano per quotare il colosso petrolifero nazionale Saudi Aramco e raccogliere risorse da destinare alla copertura delle sovvenzioni statali. I prossimi mesi diranno la verità sulla sostenibilità del ‘patto sociale’, grazie al quale non esiste un’imposta sui redditi e la maggior parte dei sauditi lavorano nel settore pubblico.