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sabato 9 marzo 2013

Rischio

Molte scienze moderne non potrebbero funzionare se non si potesse utilizzare il concetto di probabilità e le sue misure. L’economia e la finanza non fanno eccezione. Il concetto di rischio, così importante nella teoria del portafoglio, ed è collegato alla nozione di probabilità.
E’ quindi essenziale fare chiarezza su alcuni concetti di base: la probabilità spesso inganna, e noi ci auto-inganniamo con essa.Invece di partire da una definizione generica di probabilità, partiamo dalla certezza. Se siamo certi che qualcosa è accaduto, possiamo dire che la probabilità corrispondente a questo evento è 1, se siamo certi che un evento non è accaduto, allora la sua probabilità è zero. Quindi possiamo, in via preliminare, dire che la probabilità sta tra 0 e 1: entrambi questi valori indicano due certezze.

In mezzo ci sta la probabilità. Nel senso comune qualcosa è improbabile o probabile nei casi in cui non è certo né che sia sì, né che sia no.Per capire come funziona la probabilità, soprattutto quella che interessa i risparmiatori, va fatta una distinzione preliminare: la probabilità corrispondente alle cose che succedono nel mondo va separata dalla probabilità filtrata dalle nostre menti, creando quelli che spesso sono inganni e, in campo economico e finanziario, purtroppo, auto-inganni. Per illustrare questa distinzione mi servirò di un aneddoto raccontato da Carlo Rovelli:Nell’istituto dove lavoravo qualche anno fa, una malattia rara non infettiva colpì cinque colleghi, a poco tempo l’uno dall’altro. L’allarme fu forte e si cercò la causa del problema. Pensammo che ci fossero contaminazioni chimiche nei locali dell’istituto, ma non fu trovato niente. L’apprensione crebbe e qualcuno, spaventato, cercò lavoro altrove. Una sera raccontai questi eventi a una cena, e un amico matematico si mise a ridere: “Ci sono 400 piastrelle sul pavimento di questa stanza; se lancio 100 chicchi di riso per terra – ci chiese – troveremo cinque chicchi sulla stessa mattonella?”. Rispondemmo di no: ci sarebbe stato solo un chicco ogni 4 piastrelle. Sbagliavamo: provammo molte volte a lanciare davvero il riso e c’era sempre qualche mattonella con due, tre, e anche cinque o più chicchi. Perché mai? Perché chicchi “lanciati a caso” non si dispongono in bell’ordine, a eguale distanza l’uno dall’altro. Atterrano appunto, a caso, e ci sono sempre chicchi disordinati che arrivano su piastrelle dove sono arrivati anche altri chicchi. D’un tratto, il problema dei cinque colleghi malati prese tutt’altro aspetto. Cinque chicchi di riso sulla stessa mattonella non significano che la mattonella possieda forze attira-riso. Cinque persone malate non significano che il nostro istituto fosse contaminato … Noi professori sapientoni eravamo caduti in un errore di statistica, ci eravamo convinti che il numero fuori media di malati richiedesse una causa. Avevamo confuso la media con la varianza (Domenicale de IlSole24Ore, 23.1.2013).Qual è la morale di questa storiella che a noi qui interessa? Ricordate le statistiche che ho chiamato dis-umane, in quanto coprivano archi temporali troppo lunghi per gli uomini? Mi riferisco alle statistiche che mostravano la forte superiorità delle azioni su altri tipi di investimenti su un arco di 110 anni. Queste statistiche ovviamente non servono a un consulente che ha a che fare con i clienti, ma sono utili per fare un ragionamento rivolto a chi è convinto comunque della superiorità delle azioni.I 110 anni della statistica corrispondono appunto alle 400 piastrelle. La superiorità delle azioni non si è distribuita equamente per tutti i 110 anni. Nella prima metà del secolo scorso, con guerre e dittature, il premio al rischio è stato molto inferiore mediamente al premio al rischio della seconda metà, in cui i guai sono stati temuti, ma per fortuna non sono mai accaduti (per esempio la guerra fredda si è dissolta). Come ho già mostrato, se andiamo ancora più in dettaglio, ad esempio all’inizio di questo secolo, iniziato nel 2000, abbiamo registrato forti punti di svolta da un triennio all’altro: la media è per l’appunto una media, e mostra molta varianza, cioè oscillazioni nel tempo.Questi sono tutti dati oggettivi, e si rivolgono al passato: sono stati registrati e codificati, proprio come quando provate a contare quanti chicchi cascano su ognuna delle 400 piastrelle. Ma ecco una differenza sostanziale: nel caso delle piastrelle potete fare un esperimento e potete ripeterlo più volte. Per esempio: lanciare per 100 volte di fila i chicchi e contare ogni volta quanti ne sono caduti su una particolare piastrella. Questo non lo possiamo fare con le registrazioni del premio al rischio perché ognuno dei 110 anni è capitato una sola volta e non è ripetibile: non sono eventi riproducibili a piacere, come in un esperimento. Quindi non si può estrapolare, cioè ricavare, quella che sarà la probabilità del prossimo anno sulla base della media dei 110 anni precedenti. Possiamo solo dire che ci aspettiamo che, anche nei prossimi 110 anni, ci sia una superiorità delle azioni sul resto, e cioè un certo valore del premio al rischio. Ma di quale entità? Non lo sappiamo, come si è già detto nella lezione n° 20 (24.1.13). Se poi passiamo dal passato al futuro il quadro si fa ovviamente più incerto. Ma è il futuro che interessa al risparmiatore, non certo le statistiche del passato, e tanto meno quelle dis-umane tratte da periodi ultrasecolari. Nell’Economist del 26 gennaio 2013 (p. 61), Buttonwood si esercita nelle previsioni relative alla prossima decade, provando a proiettare i rendimenti delle varie asset class registrati alla fine del 2012. L’esercizio si applica alle tre grandi aree di interesse per l’Economist: Stati Uniti, Europa e Gran Bretagna. Se teniamo presente i valori corretti per l’inflazione, come nella tabella seguente, il quadro per le obbligazioni governative è deludente: è probabile che non copriranno neppure l’inflazione presente in tutte e tre le grandi aree. Un po’ meglio farà il credito, cioè le obbligazioni non governative. Per le azioni il calcolo è più complesso, e la forchetta di valori prevista è molto ampia, basandosi sui rendimenti attuali e sulla possibilità che si ritorni alle medie storiche del passato (ma quale è l’intervallo temporale da prendere in considerazioni? Il decennio appena trascorso o un intervallo più lungo?). Forse le sorprese più positive verranno dagli immobili, dopo un così lungo sacrificio in tutte e tre le aree, anche se la previsione è strettamente collegata alla forza e alla durata della ripresa economica. I rendimenti attuali degli immobili, sopra la media storica dati i prezzi sacrificati, farebbero ben sperare (forse non in Italia, dove la situazione è particolare, dato il mix di mancata crescita, sia economica che demografica, e di impoverimento della prossima generazione). Immaginiamo che le ampiezze delle forchette siano sensate e che il rendimento effettivo della prossima decade stia in mezzo. Supponiamo inoltre di costruire un portafoglio fatto per metà in azioni e per il resto suddiviso equamente in liquidi, obbligazioni governative e non, e immobili. Dovremmo aspettarci un rendimento del 2.2% negli USA e del 3.3% in Europa. Non eccitante, ma non male, se le cose andassero veramente così.Dato che c’è forte interesse circa che cosa succederà in futuro, si è provato a introdurre delle misure volte a misurare le aspettative, per lo meno a breve termine. Si badi bene che qui andiamo su un terreno nuovo: le aspettative non si registrano nel mondo, su quello cioè che è successo in passato (vedi sopra), come nel caso dei 100 chicchi caduti sulle piastrelle o i premi al rischio corrispondenti a ciascuno dei 110 anni passati. Le aspettative sono dentro le teste delle persone. Dato però che le persone agiscono in base a quello che si aspettano, possiamo andare a misurare le loro azioni, o, più esattamente, il costo delle loro azioni. Poniamo che voi temiate che un indice azionario, per esempio lo S&P500 possa nel futuro scendere. Allora potete assicurarvi contro questa eventualità e, ovviamente, l’assicurazione ha un costo. Il costo dell’assicurazione è una misura indiretta delle aspettative presenti sul mercato. Non nella testa di una specifica persona, ma nella media ponderata di tutti gli operatori (alcuni contano più di altri perché è la massa delle assicurazioni che conta, non il numero delle persone che si assicurano).Il Chicago Board Options Exchange Volatility Index, più brevemente VIX, è appunto un indice che misura il costo di usare opzioni per assicurarsi contro perdite del S&P 500, fortemente salito in gennaio 2013. L’indice della volatilità dello S&P 500 relativo a 5 giorni, una misura della oscillazione dei prezzi sul breve, è crollato nel mese di gennaio al valore più basso dal 2005. Per dare un’idea ora è sotto il 5%, mentre alla fine di dicembre 2012, quando si temeva per l’accordo in prossimità del baratro fiscale, aveva raggiunto il valore di 26. E’ evidente però che questo modo di misurare le aspettative ha un respiro corto, rispetto a quello costruito estrapolando dal passato per periodi lunghi come un decennio. Il primo è una misura delle aspettative a breve diffuse nel mercato, ed ha un prezzo perché è una sorta di assicurazione quotata, il secondo invece è basato su tecniche più precarie che contemplano leproiezioni dei valori del passato, il ritorno sulle medie storiche e, soprattutto, l’assenza di eventi eccezionali, come guerre e terrorismo o altri incidenti inattesi e negativi. Però ha il vantaggio di riferirsi a intervalli futuri medio-lunghi.Infine va osservato che anche il VIX non corrisponde ai timori dell’investitore medio, cioè della stragrande maggioranza dei non esperti, perché è un indice che misura le oscillazioni, in certo qual modo un indice che misura i timori più che i dolori. Per avere un indice corrispondente ai soli dolori, questo dovrebbe dare un peso maggiore all’entità delle discese, che è quello che i risparmiatori temono. E tutto ciò spiega come mai i risparmiatori, per lo più, non siano investiti nei modi suggeriti dall’Economist, ma premino le obbligazioni, governative e non, rispetto alle azioni.Eppure sono le forti crescite delle azioni a dare i rari momenti di felicità. Alla nostra generazione è accaduto nel 1997-1999, e nel 2009-2011. Forse due attimi su un intervallo semisecolare. Per la maggioranza dei risparmiatori vale probabilmente quanto osserva Alice Munro alla fine del racconto La luna nella pista di pattinaggio (Il percorso dell’amore, Einaudi, 2007, p. 172): “Chissà se quei momenti significano davvero, come sembra, che avremmo a disposizione una vita felice nella quale ci imbattiamo, consapevolmente, solo qualche rara volta? Chissà se gettano su quel che precede e quel che segue, tutto ciò che è accaduto nella nostra vita, o che noi abbiamo fatto accadere, una luce tale da rendere ogni cosa trascurabile?”

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