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venerdì 6 settembre 2013

Siria, mercati con l'elmetto

Gli effetti sulle Borse mondiali di un attacco americano al paese mediorientale dipenderanno dalla durata del conflitto. L'azionario può diventare un'opportunità d'acquisto. Ma il petrolio rischia di fermare la crescita globale. 

Gli Stati Uniti bruciano le tappe, le Nazioni Unite frenano e le Borse scendono. La possibilità di un intervento armato degli Usa in Siria (per cui il presidente Barack Obama ha ottenuto il via libera dal Senato mentre attende l’ok del Congresso) divide la comunità internazionale e lascia indecisi gli operatori sul da farsi. Il discorso del Segretario di stato, John Kerry, alla commissione esteri del senato Usa, intanto, ha spiazzato gli osservatori: non metteremo piede in Siria, ha detto. Ma in altri passaggi del suo discorso ha scartato con minor fermezza l’ipotesi. “Siamo d’accordo sul fatto che non ci saranno soldati americani in Siria” ha spiegato. “Il Presidente su questo è stato chiaro. Non abbiamo intenzione di assumere una tale responsabilità nella guerra civile in Siria. Chiediamo l’autorizzazione per colpire e diminuire la capacità di Bashar Al Assad (il presidente siriano, Ndr) di ricorrere ad armi chimiche”.

Intanto il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, fa da contrappeso e mette in guardia la Casa Bianca contro i rischi di un intervento punitivo al di fuori del perimetro giuridico di una risoluzione Onu. “L’uso della forza può essere fatto nel quadro della legge solo per legittima difesa in base all’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite o quando il Consiglio di sicurezza approva tale azione”. Un via libera che sembra fuori discussione in base al veto di Russia e Cina. Trader e analisti, intanto, si interrogano sulle mosse da fare in Borsa. Nel mirino ci sono soprattutto l’equity e il petrolio.

Gli effetti in Borsa
“I corsi azionari si sono indeboliti molto da quando si è iniziato a parlare di un intervento americano in Siria, sia nei mercati emergenti sia in quelli in via di sviluppo”, spiega Rodney Hobson, analista di Morningstar. “Al momento è difficile prevedere dove un’eventuale escalation potrà portare. Dal punto di vista operativo questa potrebbe essere una buona opportunità d’acquisto. Se la guerra in Siria dovesse arrivare a una rapida conclusione le azioni avrebbe un rapido rimbalzo mentre nelle sale operative si tornerebbe a parlare di ripresa 
 degli Stati Uniti e di uscita dell’Europa dalla crisi”.

L’equilibrio del barile
La situazione per quanto riguarda il mercato del petrolio è ancora più delicata. Tutti concordano nel dire che l’equilibrio dell’oro nero non dipende dall’estrazione siriana. Ma c’è il rischio concreto che la guerra possa far sentire i suoi effetti anche oltre confine. La regione del Medio Oriente può contare su un potenziale di oltre ottanta anni di produzione, e cioè dieci volte più dell’Europa e quattro più degli Stati Uniti. Inoltre, otto Paesi dell’area, tra cui l’Iran, rappresentano da soli l’80% della produzione del petrolio dell’Opec e il 30% di quella mondiale. “Se altri stati si trovassero trascinati in questo conflitto, ne potrebbe derivare una destabilizzazione dell’insieme della regione mediorientale”, spiega uno studio firmato da Erasmo Rodriguez, Senior analyst energy & utilities di Union Bancaire Privée. “La libera circolazione del petrolio attraverso lo stretto di Hormuz – dove transitano ogni giorno 20 milioni di barili – potrebbe essere seriamente minacciata se l’Iran decidesse di vendicarsi in caso d’intervento dell’Occidente. Nel breve termine, i prezzi del petrolio dovrebbero rimanere sostenuti grazie all’aumento della domanda dei paesi industrializzati e della Cina. Se il conflitto dovesse estendersi, però, non è da escludere un incremento maggiore delle quotazioni della materia prima. Il superamento della soglia dei 125 dollari peserebbe inevitabilmente sulla crescita di tutte le economie nazionali, quelle dei paesi industrializzati come quella cinese”.



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