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mercoledì 21 novembre 2012

Scenari mercati futuri


Banche Centrali: altri imperatori nudi. La scorsa settimana il rapporto trimestrale sull’inflazione della Banca d’Inghilterra ha tracciato un quadro assai cupo delle prospettive economiche del Regno Unito. Secondo la relazione vi sono pochi segnali di ripresa per il periodo considerato, ma l’inflazione dovrebbe mantenersi sopra il tasso obiettivo del 2% stabilito dalla banca centrale. In termini di prezzi costanti, l’economia britannica non tornerà sui livelli del 2008 sino al 2015, in base a queste stime. La situazione sta cominciando ad assumere proporzioni bibliche, con sette anni di (relativa) penuria dopo sette anni di abbondanza.

Con il consueto understatement britannico, il governatore della Banca d’Inghilterra ha descritto la situazione come “una combinazione sfavorevole di ripresa fiacca e inflazione superiore all’obiettivo che si protrarrà per qualche tempo”. Chi scrive si esprimerebbe sicuramente in termini più enfatici per illustrare le condizioni dell’economia del Regno Unito, in particolare alla luce del fatto che nel quarto trimestre il Pil potrebbe accusare una nuova contrazione. Ma l’enigma che sta tormentando le autorità riguarda il tasso di crescita della produttività e, quindi, la potenziale espansione dell’economia britannica. Secondo alcune indicazioni sell-side, la capacità inutilizzata potrebbe essere prossima allo zero, nonostante un tasso di disoccupazione del 7,8%. Se così fosse, ciò spiegherebbe in buona parte la presenza di spinte inflazionistiche a dispetto degli scoraggianti dati sulla crescita. Alcuni osservatori suggeriscono che l’attuale tasso di espansione sottostante dell’economia britannica sia prossimo a zero, e di conseguenza l’output gap sia molto minore di quello indicato dai dati sulla disoccupazione. In tal caso, il Regno Unito sarebbe attualmente in una fase di stagflazione, non della stessa portata di quella degli anni ’70 ma comunque sgradevole.

Molti lettori del presente commento potrebbero avere un interesse limitato nei confronti del Regno Unito, ma la situazione illustrata per questo paese rappresenta un importante banco di prova degli esperimenti di politica monetaria condotti dalle banche centrali in tutto il mondo. Il caso britannico e i recenti commenti secondo cui gli Stati Uniti starebbero valutando se estendere ulteriormente l’allentamento quantitativo sono due segnali che potrebbero suscitare timori sull’effettiva efficacia delle misure non ortodosse di politica monetaria. In una sessione dedicata della nostra recente riunione quadrimestrale abbiamo considerato se la politica monetaria abbia esaurito le sue munizioni. Le nostre conclusioni non sono state totalmente sconfortanti, ma siamo molto sensibili ai timori che la politica monetaria venga percepita come inefficace. Sebbene non vi siano in teoria limiti all’espansione del bilancio della Fed, come ha osservato lo stesso presidente della banca centrale americana in uno studio di una decina di anni fa, le autorità sono soggette a limiti pratici, politici e istituzionali.

Giappone: il cimitero dei gaijin. Le celebri parole di Winston Churchill sulla politica dell’Unione Sovietica, descritta come un “indovinello avvolto in un mistero dentro a un enigma”, potrebbero essere rivolte oggi al Giappone in un’ottica di investimento. Ancora una volta il paese ha confuso gli operatori, con la diffusione di una serie di pessimi dati economici nel momento in cui i listini avevano cominciato a riprendersi. Il mercato nipponico potrebbe quindi essere descritto anche come un cimitero per i fondamentalisti, o comunque per i gaijin.

La scorsa settimana l’economia giapponese è tornata decisamente in recessione, con una contrazione dello 0,9% (tasso annualizzato) del Pil reale, alimentata dal crollo delle esportazioni e dall’indebolimento della domanda interna privata. Sospettiamo inoltre che il rallentamento non finirà qui. È importante osservare che l’indice scorte-spedizioni giapponesi rimane sui livelli estremamente elevati.
Considerati gli attuali dissidi con la Cina e il fatto che le esportazioni di settembre hanno chiaramente risentito di un forte calo della domanda cinese, un marcato recupero dell’export appare improbabile. Il recente grave deterioramento dei dati sulla produzione industriale suggeriscono che è in corso una correzione delle scorte, con conseguenti ripercussioni sia sulla crescita del Pil reale che sugli utili societari, vista la loro stretta associazione con l’output.

Tuttavia, nonostante questa situazione chiaramente svantaggiosa, verso la fine della settimana le azioni hanno recuperato terreno, una dinamica fortemente legata al deprezzamento dello yen, che è sceso a quota 81 rispetto al dollaro statunitense a fronte della convinzione degli investitori che le autorità stiano finalmente per intervenire per favorire un indebolimento della valuta nipponica. Sono circolate molte voci su chi sarà il nuovo governatore della Banca del Giappone, quando terminerà il mandato dell’attuale presidente Shirakawa a marzo 2013. Tradizionalmente viene attuata una rotazione tra gli esponenti della banca centrale e quelli del ministero delle Finanze. Dato che Shirakawa proviene dai ranghi della Banca del Giappone, è probabile che il suo successore sarà una persona designata dal ministero, e ciò ha indotto alcuni osservatori a ritenere che l’orientamento di politica monetaria possa diventare più espansivo. Continuiamo a sovrapesare il listino nipponico, che offre valutazioni molto interessanti ed è generalmente sottopesato dagli investitori.

Mercati: quale sarà la prossima decisione da prendere? La scorsa settimana i mercati hanno continuato a essere dominati da un clima di pessimismo, a fronte dei crescenti timori di un rallentamento globale. Negli Stati Uniti sono state avviate le trattative sul sempre più imminente precipizio fiscale, ma è ancora troppo presto per dire come verrà risolta la questione. Intendiamo riesaminare la situazione nelle prossime settimane, quando le nubi cominceranno a diradarsi.

La recente debolezza dei mercati porta a chiedersi quale sia il modo migliore di utilizzare il rischio di portafoglio nell’attuale contesto. L’impressione che si ricava da alcuni dati sul posizionamento degli investitori (indagini e rilevamenti sui flussi di capitali) è che il rinnovato interesse per le azioni del terzo trimestre sia stato di natura esplorativa e si sia concentrato principalmente sulle aree difensive. Del resto, i dati Credit Suisse sulla propensione al rischio hanno evidenziato un ritorno alle azioni caratterizzato da scarso entusiasmo, con il mantenimento di una forte enfasi sul credito, mentre l’indicatore relativo al solo rischio creditizio si è attestato su livelli prossimi all’euforia. Riteniamo che la prossima importante decisione riguarderà la scelta dei tempi per ampliare l’esposizione ciclica, mossa che sarà giustificata una volta che ci saranno (finalmente) concreti segnali di ripresa del ciclo globale.

Vi sono alcune timide avvisaglie di miglioramento, che interessano in particolare gli indici dei responsabili degli acquisti e i dati sulle esportazioni asiatici, nonché i segnali di solidità del settore immobiliare statunitense, che potrebbero innescare effetti a catena su ampia scala. Tuttavia, il quadro generale rimane piuttosto anemico. Gli indicatori anticipatori del nostro team valutario mostrano sì un rafforzamento negli Stati Uniti, ma solo sino a riportare l’espansione del Pil in linea con la media tendenziale nei prossimi 1-2 trimestri. Nel frattempo, i paesi del G-10 (esclusi gli Stati Uniti) continuano ad accusare un deterioramento con tassi di crescita inferiori alla media tendenziale.

In tale contesto, manteniamo la sovraesposizione alle azioni, con sovrapesi negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, e sottopesi nel Regno Unito e nei paesi emergenti. L’ago della bilancia saranno probabilmente i mercati emergenti, dove tradizionalmente la regola generale è quella di aumentare gli investimenti nella classe di attività quando gli indicatori anticipatori dei paesi Ocse cominciano a migliorare. Si tratta di una regola semplice, ma non priva di fondamento, quindi potrebbe essere questa l’area da osservare quando saranno evidenti maggiori segnali di ripresa.

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